Gli stranieri “fanno sparire” oltre sei miliardi dall’Italia

tratto dal quotidiano "LIBERO" 
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Domanda: gli immigrati sono una risorsa? Risposta: sì, per i loro connazionali. Ogni anno gli stranieri che lavorano in Italia “fanno sparire” oltre sei miliardi di euro: rimandano oltre confine quasi mezzo punto di Pil. Quattrini che non fanno girare l’economia, soldi che non danno una mano ai consumi e che volano via attraverso banche e money transfer, senza che lo Stato possa incassare un piccolo obolo per la perdita. Però - sottolinea la Fondazione Leone Moressa che ha elaborato i dati - «le rimesse costituiscono uno dei fattori che possono portare alla crescita delle economie più arretrate, in quanto il denaro viene inviato direttamente alle famiglie che vivono in uno stato di bisogno». Siamo felici per gli extra-comunitari, un po’ meno per i nostri commercianti, sempre alle prese con la crescita zero dei consumi.
Con i 6,3 miliardi che sono “emigrati” nel 2010 dal Belpaese oltre due milioni di stranieri nel mondo hanno tirato un sospiro di sollievo. I più generosi con gli amici oltreconfine sono - paradosso dei paradossi - i cinesi, che non sono un esempio di concorrenza leale nei confronti delle aziende italiane. Nel 2010 il Paese che ha ricevuto più euro made in Italy è proprio il Dragone: ben un miliardo e sette. Ogni cinese ha mantenuto di fatto poco meno di tre cinesi in patria: in totale mezzo milione di persone residenti nella terra di Mao ha vissuto con i soldi usciti dal nostro Paese. Nella classifica dei generosi seguono i filippini (468mila mantenuti), i bengalesi (400mila) e i senegalesi (308mila).
La crisi comunque si è fatta sentire anche sulle rimesse. Nel 2009 il tesoretto sparito era di 6,7 miliardi. Il calo dunque è di oltre cinque punti percentuali, un’inezia se paragonata alla performance (+985,2%) registrata fra il 2000 e il 2010. Nel dettaglio Roma è la provincia dalla quale defluisce il maggior volume di rimesse verso l’estero: 1,7 miliardi di euro, pari a oltre un quarto di tutto il denaro che esce dall’Italia. Seguono Milano, Napoli, Firenze e Prato. Per queste province la prima nazionalità di destinazione è - come detto precedentemente - la Cina. La Romania è invece il primo Paese di destinazione delle rimesse di Torino, Brescia e Verona. Mentre per le Filippine è Bologna.
Mediamente ogni immigrato «porta fuori dal circuito nazionale» 1.508 euro. Una cifra di tutto rispetto: se una parte fosse reinvestita in Italia le vendite potrebbero anche riprendere a crescere. Ma si vede che parecchi dei lavoratori stranieri non hanno intenzione di integrarsi, di fare famiglia, di passare il resto della vita qui da noi. Puntano invece a racimolare più soldi possibili per migliorare le condizioni di vita di parenti e amici rimasti a casa loro, per poi raggiungerli. Ci sarebbe un modo per disincentivare questa fuga di capitali. Non molti immigrati infatti utilizzano il canale bancario tradizionale per spostare denaro: piuttosto si affidano ai money transfer, perché le commissioni sono più basse. L’idea, tra l’altro riproposta poche settimane fa dal deputato leghista Gianluca Buonanno, è quella di tassare i trasferimenti. Un per cento sulla somma in uscita: lo Stato potrebbe così recuperare oltre sessanta milioni all’anno, «che potrebbero finire nelle casse delle associazioni di volontariato» - spiega il parlamentare padano - ma che soprattutto sarebbero sottratti a quegli immigrati «furbi, che piangono miseria qui e poi magari si fanno la casa nel loro Paese». In effetti - continua Buonanno - le rimesse sono appunto «denaro sottratto ai circuiti del consumo e del risparmio italiani» e tanto basta, conclude, per creare «finalmente una tassa che non pagano gli italiani».
Al di là della propaganda politica, la tassazione sulle rimesse può - almeno in parte - evitare un eccesso di evasione fiscale. Molti lavoratori sono onesti, altri no. Gli esempi non mancano: ci sono immigrati regolari che aprono un attività con partita Iva, cominciano a lavorare e a fare fatture, che però restano nel cassetto. Non pagano l’Iva o l’Ire, tanto l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza si attivano solitamente dopo qualche anno. Così questi signori possono continuare a lavorare “in nero” indisturbati. Fanno un bel po’ di contanti, li girano a casa attraverso i money transfer e poi raggiungono i “fortunati” parenti. Almeno tassando le rimesse si potrà accertare chi manda e, di conseguenza, capire se il benefattore può permettersi certe somme.