da La Padania
È tempo di grandi sacrifici, ma non per tutti: il denaro per megastipendi, prebende privilegi e sprechi c’è
sempre
Sui costi della politica la discussione da un po’ di tempo a questa parte si sta facendo seria, merito soprattutto delle (decennali) pressioni del Carroccio che, storicamente, sostiene la necessità di procedere a drastiche riduzioni di spesa nella pubblica amministrazione. Proprio perché se ne parla, i politici, le loro indennità, i rimborsi, le agevolazioni, finiscono nell’occhio del ciclone e, puntualmente, scatenano bufere mediatiche e indignazione tra la gente comune. Ma, in fondo, c’è casta e casta. A sguazzare silenziosamente nell’oro c’è un esercito di Paperoni che non ha gli stessi riflettori puntati addosso, che solo occasionalmente deve vedersela con il clamore suscitato - inevitabilmente - dalla diffusione dei dati su stipendi, emolumenti, compensi e retribuzioni varie: è composto dalle danarose truppe dei supermanager pubblici, strapagati, troppe volte ingiustificatamente, quelli che il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni ha definito senza tanti fronzoli «boiardi di Stato». Funzionarifeudatari che dalle società pubbliche ricevono centinaia di migliaia di euro in compensi e prebende, non sempre ottenendo, come logica contropartita imporrebbe, risultati aziendali ragguardevoli. Politici o manager statali: qual è la vera Casta, quella con la “C” maiuscola? Per farsi un’idea del fenomeno, la tabella che pubblichiam pare sufficientemente eloquente. I nomi dei personaggi citati sono straconosciuti, i loro megastipendi, anche se già da tempo di dominio pubblico, un po’ meno. Gli annunciati aumenti di gas ed elettricità peseranno come macigni sui già magri bilanci delle famiglie italiane, ma per Paolo Scaroni e Fulvio Conti, rispettivamente amministratore delegato di Eni ed Enel, e i relativi presidenti delle due aziende, Roberto Poli e Piero Gnudi, la stretta di cinghia sarà del tutto trascurabile, percependo lor signori - in or dine di citazione - 4.420.000, 1.380.000, 1.101.000 e 1.695.211 euro di retribuzione per il prezioso (e sin troppo costoso) contributo lavorativo apportato alla pubblica amministrazione. E che importanza ha sapere se si tratta di stipendio lordo o netto, le cifre spaventerebbero, comunque, anche il sultano del Brunei. Via la Lega Nord dal Governo,l’ascia di guerra per mettere un tetto a tali, improbabili, stipendi sembra essere stata sotterrata dal presidente del Consiglio Mario Monti e il suo squadrone di “tecnici ”. Nell’ultima manovra dell’Esecutivo, il cosiddetto decreto salva-Italia, la previsione di porre un tetto ai mega-salari dei dirigenti pubblici è stata vanificata da un codicillo inserito all’u lt im o istante per il quale sì, le retribuzioni dei manager non possono superare per legge il trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione (311.000 euro),ma per le “posizioni apicali” possono essere previste delle deroghe. Traduzione: rimane tutto come prima. Ma in tempo di sacrifici, non c’è ragione - nessuna, nemmeno una - per la quale questa gente continui a percepire tali cifre che rappresentano un affronto a chi fatica ad arrivare a fine mese con il mutuo da pagare e le bollette del gas e dell’elettricità schizzate alle stelle. Il premier Monti rifletta seriamente e prima di caricare le spalle dei cittadini di nuove gabelle, avvii una profonda revisione dei criteri con i quali vengono stabiliti i parametri di retribuzione dei dirigenti delle società pubbliche o a partecipazione statale. Magari partendo dallo stipendio di quell’Attilio Befera, direttore del l’Agenzia delle Entrate e presidente di Equitalia, che da una settimana impartisce lezioni di etica fiscale agli “evasori” del Nord che, lavorando, producendo, pagando tasse e interessi al limite del l’usura sulle cartelle dell’agenzia di riscossione da lui diretta, gli assicurano 456.733 euro di paga annua. Lorda o netta ha poca importanza, è una vergogna in tempo di crisi e con tassi di evasione galoppanti. Avesse il coraggio, oltre a Cortina, di organizzare agguati anche a Casal di Principe, nei Quartieri Spagnoli o in qualsiasi altra zonaccia del Mezzogiorno, il suo megastipendio, forse, avrebbe più senso. Ma non ne avrà, come non avranno audacia tutti gli altri manager pubblici nel riconoscere di rappresentare una distorsione da correggere in un Paese dalla casta facile. I politici? Sì, forse saranno anche dei mascalzoni ma, in fondo, c’è casta e casta.